"Avete mai notato quanto si assomigliano avvocato, CTP e rispettivo coniuge?". Esordisce così Claudio Bencivenga, psicologo forense dell'Università di Parma. Bencivenga è latore o convinto alfiere della CTU trasformativa, che ben si inserisce nell'approccio sistemico-relazionale collocandosi nel solco della cultura dell’autodeterminazione e del diritto mite proposto da Zagrebelsky. Di seguito uno stralcio della nostra conversazione. - Professore, quale il senso della sua battuta? - Sappiamo dagli studi di Psicologia Sociale come un contesto che veda due gruppi non necessariamente in antagonismo ma semplicemente accomunati dal fatto di essere in qualche modo in relazione tra loro, già di per sé crea le condizioni per una dinamica competitiva in cui le differenze intragruppo vengono livellate - in termini di percezioni, opinioni - e quelle intergruppo accentuate. Questi fenomeni possono essere amplificati se la natura di tale contesto assume intrinsecamente fattori di competitività dove c’è una posta in gioco e una sorta di arbitro che deve esprimere un verdetto. Sappiamo però che se ai due gruppi viene posto un obiettivo sovraordinato - il cui raggiungimento è possibile solo con l’unione delle forze e delle risorse in campo - le dinamiche oppositive lasciano spazio alla collaborazione e cooperazione costruttiva. - Quali sono i rischi della competizione tra le parti per il lavoro scientifico del consulente? - In una consulenza tecnica in seguito a separazione, ad un livello manifesto il CTU deve rispondere a dei quesiti indicati dal giudice e suggerire proposte relativamente alle modalità di affidamento e di frequentazione di un determinato minore sic stantibus rebus, rispecchiando cioè la situazione attuale in una sorta di fotografia. A questa domanda se ne accompagna una implicita, in ragione di quella conflittualità spesso così elevata e distruttiva da attivare il meccanismo del transfert sulla Giustizia, in un contesto in cui ognuno si sente chiamato a dimostrare il meglio di sé e in cui si creano due fazioni per le quali il CTU viene vissuto di volta in volta come salvatore, inquisitore, giustiziere. È come se il CTU venisse chiamato dal giudice a svolgere una funzione di contenimento delle ansie e di tematiche che egli stesso fatica a fronteggiare. La focalizzazione è sui provvedimenti futuri da prendere, e non sull'analisi pregressa della coppia genitoriale, come se si potesse affrontare il tema del conflitto portato all’interno di una CTU in maniera astoricizzata, acontestualizzandolo dalla storia familiare. L’intervento della consulenza (proprio in quanto fotografia statica ed istantanea) appare fuori tempo e finalizzata a elaborare una soluzione quasi magica, che sia trovata nell’arco del poco tempo concesso dal magistrato. Il rischio è quello di colludere con la conflittualità della coppia, di entrare in un vortice dove quello che conta è la risposta e la soluzione urgente in una sorta di ansia da prestazione e da risultato. - In che modo superare questa visione fotografica della conflittualità di coppia e mettere in primo piano i minori? - Una consulenza tecnica spesso rappresenta per una famiglia la prima esperienza “psi”, dove in qualche modo è costretta a fermarsi. L'opportunità è troppo preziosa per non tentare di passare da un’attribuzione rigida di tipo esterno delle cause ad una riappropriazione della propria parte giocata. In termini esclusivamente valutativi, la probabilità è di ottenere una fotografia della situazione attuale alterata, per il fatto che i coniugi finiscono per intendere quello spazio non come un’opportunità per rimettere in moto un pensiero, ma come un luogo competitivo dove il figlio rimane sullo sfondo e il conflitto occupa tutta la scena. Se invece si creano le condizioni per entrare in rapporto con le singolarità dei genitori si può ottenere un effetto di straordinaria potenza. Tutti gli esseri umani per una sana crescita hanno bisogno di spettatori attenti e appassionati; in una situazione di separazione ci si trova di fronte a dinamiche particolarmente complesse che affondano le loro radici in un mondo interno in cui la separazione ha reso incandescenti alcune aree che l’occasione riattualizza e che trovano mezzo di espressione e cassa di risonanza nel presente. Se i singoli elementi di una coppia trovano un luogo dove c'è un ascolto attento alle individualità e alle parti “più piccole” di quelle persone, ciò che si sta facendo è fornire un modello che, per le leggi dell’isomorfismo, attiva nelle stesse uno sguardo più attento alle esigenze e bisogni reali dei loro figli. È chiaro che noi possiamo gettare solo dei semi: se colti i coniugi possono comprendere che parte del loro conflitto in realtà viene sostenuto da elementi personali che sono stati richiamati da effetti eco o gancio. Questo riallineamento con se stessi aiuta a rincentrarsi sui propri figli e a rimetterli in primo piano. Si possono ricreare quelle condizioni in cui i figli vengono rimessi al centro, c'è più spazio per vederli e ascoltare i loro bisogni, le loro necessità, i loro desideri. Va detto che nell'art. 147 c.c., per ciò che concerne il diritto-dovere dei genitori di educare i figli, il legislatore ha previsto esplicitamente che i genitori devono prendere in considerazione la capacità, l’inclinazione naturale e le aspirazioni dei figli. Alla luce della normativa sovranazionale tale diritto-dovere si esplica anche praticando il diritto-dovere di ascolto. Se si riesce in questo intento la consulenza può diventare un’occasione preziosa, da non perdere, di offrire una fotografia dinamica e che può predisporre, preparare le basi, per futuri interventi post CTU di sostegno, psicoterapia o altro. - Il ruolo del CTP appare attualmente nebuloso, tanto che una sua definizione è al centro del lavoro dell'équipe di Guglielmo Gulotta. Quali potrebbero essere le loro funzioni in questo processo? - Per non rispondere ai quesiti con una mera fotografia è necessario rendere partecipi le parti e i singoli membri del sistema familiare a un processo: la differenza è sul come rispondere e attraverso quale metodologia. "L’accesso realizzato durante la CTU alla consapevolezza del significato di quanto accaduto all’interno della coppia, apre al pensiero e alla riflessione, permettendo di andare oltre l’accertamento di una presunta verità dei fatti e di un’ennesima definizione di torti e ragioni" (Marina Mombelli). Ecco che allora la consulenza diventa un luogo dove permettere al pensiero di ricircolare, dove possa attivarsi un Gruppo di Lavoro e dove il CTU diventi un facilitatore di tale processo e l’obiettivo condiviso diventi veramente il perseguire l’interesse autentico del minore. Il CTU imposta l’impianto della consulenza, le dà avvio e ne diventa un co-costruttore con un ruolo determinante per la metodologia e la forma mentis del lavoro peritale (In altri termini il consulente, attraverso la scelta di 'cosa portare' o 'non portare', contribuisce alle risposte determinando l’impostazione e diventando lui stesso elemento promotore di trasformazione). Dove questo Gruppo di Lavoro possa costituirsi come una learning organization, ovvero un “organizzazione che impara” e/o un “organizzazione che incoraggia l’apprendimento dei suoi membri” (Bateson). In quest’ottica l’interazione tra il CTU e quello di parte sembra pertanto allentare i caratteri di formalismo e di velata rivalità che connotavano un tempo le consulenze, e sembra identificare i diversi professionisti nei membri di un team che, nel rispetto delle diverse funzioni, può fornire un concreto contributo di chiarificazione alle dinamiche della famiglia sulla quale si sta lavorando. Un passo in avanti rispetto al ruolo del CTP, ancora poco definito, che spesso fraintendono il "contribuire criticamente alle ipotesi formulate dal CTU e adoperarsi affinché gli stessi utilizzino una metodologia corretta e motivata" indicati dal Protocollo di Milano con una "difesa" a tutti i costi della propria parte. L'auspicio è che il consulente di parte, come indicato dal citato protocollo, sempre più si adoperi per aiutare il cliente (e l’avvocato) a meglio comprendere da un punto di vista psicologico i dati emersi durante la consulenza operando una funzione di filtro e di rielaborazione dei contenuti e dei significati di ciò che avviene durante gli incontri di consulenza. - La questione interessa i professionisti della Mediazione Familiare, dal momento che sempre più si osservano quesiti in cui si invita il CTU a una verifica della mediabilità ed interventi dei giudici volti ad invitare i separandi verso una pratica che ha svariati vantaggi: richiede meno tempo, bypassa il ricorso agli ingolfatissimi tribunali, è più economica di una separazione giudiziale e soprattutto permette un accordo in cui entrambi i coniugi risultano vincitori. Un passo importante sarà la prossima pubblicazione di una ricerca, preannunciata da Matteo Santini, coordinatore del progetto famiglia dell'Ordine degli Avvocati di Roma, sulle modalità con le quali la Mediazione Familiare è prescritta nei tribunali italiani. Quali sono le soluzioni perché la Mediazione non trovi posto quasi da clandestina in tribunale? - Non può esservi contemporaneità tra lo svolgimento di una Consulenza Tecnica d’Ufficio e una Mediazione Familiare. Obiettivi, significato, modalità operative dei due interventi sono antitetici e nascono su presupposti diversi. La Consulenza Tecnica d’Ufficio viene attivata su richiesta del Tribunale, mentre la Mediazione Familiare su richiesta volontaria dei genitori. La volontarietà è, infatti, una caratteristica irrinunciabile per l’avvio del percorso mediativo. Un terzo neutrale e con formazione specifica (il mediatore familiare), sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale. Al limite, qualora al termine di una CTU il Consulente valutasse che i genitori possano avvalersi di un percorso di Mediazione Familiare, fornisce informazioni chiare ed esaustive a riguardo. Va detto inoltre che non tutte le situazioni conflittuali sono mediabili: a volte accedere ad essa può essere un traguardo. Tra le situazioni che precludono la Mediazione Familiare abbiamo ad esempio la presenza di un’altissima conflittualità con dinamiche di escalation; episodi di grave violenza o maltrattamento dichiarati o dimostrati; denunce penali in atto perseguibili d’ufficio; episodi di abuso nei confronti dei figli dichiarati o dimostrati. Si tratta di due istituti diversi e a volte si fa confusione con l’uso delle terminologie: ad esempio in alcuni quesiti dei Giudici nell’ambito delle Consulenze troviamo: "effettui il CTU un lavoro di mediazione tra i coniugi....". Proprio per evitare fraintendimenti forse si potrebbe chiedere “in coda” ai quesiti che il CTU “verifichi/constati se ci sono tra le parti spazi di negoziabilità rispetto ad un allentamento del conflitto..." Ciò proprio per evitare sovrapposizioni tra due interventi che nascono con mission diverse e appunto con differenti presupposti. - Qual è il parallelo con il diritto mite del Giudice costituzionale Zagrebelsky? - Come ha spiegato Zagrebelsky in un’intervista, c'è una differenza tra - “quando lo Stato assiste con la sua autorità e quando, invece, diventa uno Stato che impone… occorre un diritto che promuova l’autopromozione dell’individuo, quindi che non sia né paternalistico, perché non vuole imporre un modello, né freddo e meccanico; un diritto che crei spazio per la crescita”. Il diritto mite tende a sostituire al sì e al no imposti dall’autorità una procedura di accompagnamento (che è quello che io penso debba essere la CTU) che lascia però la parola ultima all’autodeterminazione delle persone coinvolte. Nicola Boccola - 26 novembre 2013 Resta aggiornato: iscriviti alla nostra newsletter
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